(Christian Speranza) Gusto personale, ma per me l’Ouverture del Fliegende Holländer di Wagner è uno degli esempi più riusciti di come iniziare un’opera. Ci sono tutti i temi principali, l’anticipazione del finale e il riassunto della trama in miniatura.

L’incipit è un esaltante muro di suono, archi, legni e trombe su cui si staglia un richiamo di corni, presto doppiato dai tromboni, mentre i cromatismi ai bassi imitano le raffiche di vento: mezzo minuto e siamo in mezzo a una tempesta! Poco dopo, tutto si placa su un secondo tema del corno inglese. Sono entrambi temi dell’Olandese. Ma l’unica volta che vengono cantati, e non soltanto suonati, è nella ballata di Senta, nel cuore dell’opera: il primo, sul grido «Johohoe!», legato al racconto epico delle sue gesta, lontanissimo precursore dell’«Hojotoho!» delle Valchirie; il secondo, più intimo, sulle parole «Doch kann dem bleichen Manne Erlösung einstens noch werden», «Ma il pallido uomo potrà ancora trovar salvezza un giorno». La redenzione dell’Olandese ha forma cantata solo in colei che davvero lo salverà. Meraviglioso Wagner…

Rullo di timpani e la tempesta riprende per introdurre un frammento dell’aria con cui l’Olandese entra in scena: «Doch, ach, den Tod, ich fand ihn nicht!»: «Ma, ahimè, la Morte, non l’ho trovata»: un uomo che, stanco di vagare da secoli sull’oceano, prega che la Morte lo prenda, che fermi la sua folle corsa… Ancora il tema del vento e della tempesta, ora cupo, ora grandioso, ed ecco i corni alternarsi ai timpani in quello che sarà l’«Halloho» dell’equipaggio di Daland al lavoro e, dopo un trillo dei legni, il tema più gioviale dei marinai che cantano: «Steuermann, lass die Wacht!», «Timoniere, smonta di guardia!», che con qualche trasformazione diventerà lo Spinnerlied delle filatrici.

Il tema della tempesta riprende a soffiare e si intreccia sempre più convulsamente con gli altri che abbiamo già ascoltato, fino a culminare per due volte nel tema della redenzione. Ma è solo un approdo fugace: i temi tornano a scivolarsi addosso, l’uno sull’altro, come flutti, finché i gorghi sonori vengono inghiottiti da una pausa improvvisa.

Ma da quella pausa ecco sprizzare, con imprevedibile dinamismo, un disegno ascendente dei violini, che dall’opprimente re minore in cui finora ci siamo dibattuti, ci trasporta nel luminoso re maggiore del tema della redenzione, non più soltanto vagamente speranzoso come nella voce del corno inglese dell’inizio, ma perentorio e sicuro di sé, come nel finale della ballata di Senta, quando al culmine dell’esaltazione afferma che sarà lei a salvare l’Olandese. Il tema della tempesta si fa ora abbagliante inno di redenzione. Ma non è così che si conclude l’Ouverture, non è così che si conclude l’opera, bensì in un mistico dissolvimento delle tensioni, con l’arpa che distende all’orizzonte i suoi tenui raggi luminosi in un mattino finalmente placato: dopo la notte senza fine, dopo tanto vagare annaspando senza amore, il vascello fantasma veleggia ora, libero dalla maledizione grazie al sacrificio di Senta, svaporando nell’alba eterna del cielo.