(Christian Speranza- Piacenza) Successo pieno di pubblico e critica, quello che ha salutato I due Foscari al Municipale di Piacenza, con un teatro vicino al sold out sia alla prima, venerdì 3, sia alla replica, domenica 5 maggio 2024.

 Il titolo, tratto da The Two Foscari di Byron (Roma, Teatro Argentina, 3 novembre 1844), rappresenta uno degli esiti più felici del Verdi “di galera”, che non rinuncia allo sperimentalismo di un’impostazione tutto sommato statica, con poca azione per due atti e il precipitare degli eventi al terzo – [Leggi l’approfondimento https://www.tv2opera.it/2024/04/30/i-retroscena-de-i-due-foscari/] e di una disposizione vocale anomala per l’epoca, col trio tenore-soprano-baritono osteggiati dal basso: parti vocali che, seppur non dotate da Verdi di una psicologia complessa come sarà quella del Macbeth appena tre anni dopo, hanno dalla loro musica d’ottima fattura e irta di difficoltà.

 

I Foscari esigono interpreti agguerriti. E qui a Piacenza li hanno trovati. Si comincia con un Luciano Ganci in ottima forma, interprete di uno Jacopo vittima dell’infida giustizia veneziana e che con umano pathos si arrende al suo destino, quasi senza combattere. Se attorialmente ben si attaglia al tema voluto per lui da Verdi, il malinconico solo di clarinetto già presente nel Preludio, vocalmente si mostra eroico, squillante e luminoso, disponendo di salda fibra che entusiasma soprattutto in Odio solo, ed odio atroce e in All’infelice veglio… Ah, padre, figli, sposa, il commovente addio prima di salpare per l’esilio.

Chi si aspettava Marina Rebeka, prevista inizialmente ma obbligata a cancellare l’impegno per motivi di salute, non è rimasto deluso dall’indovinata scelta di Cristina Ferrari, direttrice del Municipale, ricaduta sulla bravissima Marigona Qerkezi per il non facile ruolo di Lucrezia Contarini. Col marito Jacopo condivide l’atteggiamento di arrendevolezza, pur in contrasto, in questo caso, col tema che Verdi inventa per lei, nelle furiose terzine degli archi. A fronte di qualche acuto un po’ fuori controllo, un poco “lanciato”, il soprano zagabrese di origini kossovare, classe 1993, non nuova per questo titolo, conquista per la sua tempra vocale, ampia, brillante e solida, che, unita a un’ammirevole agilità nelle volatine di bravura, ad esempio in O patrizi… tremate… l’Eterno, regala emozioni incontenibili.

Elogiare Luca Salsi quale Francesco Foscari è come portar vasi a Samo. Se è vero che quello che oggigiorno può essere reputato il baritono di punta dell’arsenale italiano ha debuttato in questo ruolo, è pur vero che la sua incessante ricerca di un miglior scavo del personaggio lo porta ogni volta ad esiti artistici migliori. Alla recita domenicale, di cui qui si prova a dar conto, eguaglia, se non supera, la sua recente prova alla Fenice di Venezia, quando a ottobre scorso ha condiviso il palcoscenico con Francesco Meli e Anastasia Bartoli (e con la Qerkezi stessa nella recita del 10). Il Francesco di Luca orbita già nella grandezza di Simone Boccanegra, di cui, fatti i dovuti distinguo, condivide il senso di grandezza decaduta. Ma, oltre ad uno stampo vocale granitico e a una rotondità e freschezza di strumento invidiabili, le qualità di Salsi si esplicano in un ruolo partecipato, con sillabe e vocaboli scolpiti onde dar loro il giusto peso. Il pubblico, empatico, accoglie la sua commovente Questa è dunque l’iniqua mercede con applausi così lunghi e fragorosi, da indurlo a concederne il bis!

 

Penalizzato da un ruolo che non gli rende giustizia,  Jacopo Loredano di Antonio Di Matteo è un antagonista di grandeggiante malvagità, che rinuncia alla sfumatura della perfidia per imporsi col suo strapotere patrizio. Cavernoso è forse l’aggettivo più adatto al suo timbro insolitamente cupo, al suo colore brunito e fosco.

Completano il cast il Barbarigo di Marcello Nardis, il Fante di Manuel Pierattelli, il Servo di Eugenio Maria Degiacomi e la Pisana di Ilaria Alida Quilico, nonché l’ottimo Coro del Municipale, istruito da Corrado Casati. Sul podio, alla testa dell’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini, Matteo Beltrami concerta con perizia e intelligenza, senza enfatizzare il lato bandistico che spesso banalizza il Verdi giovanile; accompagna, anzi, il canto con discrezione, servendolo senza imporsi.

In coproduzione col Teatro Pavarotti-Freni di Modena, l’allestimento porta la firma di Joseph Franconi Lee, con luci di Valerio Alfieri. Una regia all’insegna della semplicità e della tradizione, che evoca la Venezia di fine Quattrocento senza perdersi in dettagli e demanda l’ambientazione alla coreografia di Raffaella Renzi (per l’episodio della regata) e a scene e costumi di William Orlandi: la laguna veneziana si tinge di rosso come la porpora di Loredano, che sul chiudersi del sipario trionfa in controluce.

Al termine, applausi scroscianti per tutti.

Recensione recita del 5 maggio 2024