(Alessandra Giorda) Siamo ormai alle battute finali per la penultima opera in cartellone nella fortunata Stagione d’Opera 2024/2025 del prestigioso teatro lirico torinese.  Il Teatro Regio ha messo in scena con successo una delle opere più affascinanti e intense del repertorio francese: Hamlet di Ambroise Thomas. Un titolo piuttosto raro sulle scene italiane, che ha regalato al pubblico torinese una serata di grande teatro musicale con un gradimento notevole.

Il ruolo di Hamlet  è originariamente scritto per baritono (nella versione del 1868). Per esigenze di repertorio e di alcune riprese successive, venne adattata anche per tenore, come quella messa in scena al Regio, una prassi abbastanza comune nella seconda metà dell’800, quando i teatri volevano diversificare i cast e il timbro drammatico, dando a Hamlet una vocalità più eroica, più chiara e squillante rispetto alla cupezza del baritono.

Hamlet di Ambroise Thomas, su libretto di Michel Carré e Jules Barbier, debutta a Parigi nel 1868 all’Opéra. È ispirata non tanto direttamente a Shakespeare, ma alla versione teatrale francese di Alexandre Dumas padre e Paul Meurice. Questo spiega le molte differenze rispetto al dramma originale.

Per una succinta trama: siamo a Elsinore. Amleto scopre dal fantasma del padre che è stato assassinato da suo zio Claudio, che ha sposato la regina Gertrude. La giovane Ofelia ama Amleto, ma lui la respinge per portare a termine la sua vendetta. La tensione culmina con la celebre follia di Ofelia e il duello finale.

Nella versione originale del 1868 Amleto sopravvive alla fine dell’opera e viene incoronato Re, un finale molto meno tragico di quello shakespeariano, scelta dettata dai gusti dell’Opéra di Parigi, che preferiva non concludere con la morte dell’eroe. Solo nel 1870 venne approvato anche il finale tragico, più fedele al modello inglese.

La regia, firmata Jacopo Spirei, ha saputo restituire il dramma shakespeariano in tutta la sua tensione emotiva, tra atmosfere cupe e slanci di lirismo. Sul podio la sapiente bacchetta Jérémie Rhoer che ha guidato la sempre eccellente Orchestra del Regio con precisione e pathos, valorizzando le sfumature della partitura di Thomas, capace di alternare momenti di delicatezza a esplosioni drammatiche.

Protagonista della serata è John Osborn che porta in scena un grande Hamlet, dando o al principe di Danimarca voce e corpo con intensità e introspezione. Si conferma come sempre abilissimo tenore  anche per le doti attoriali capace di scavare   in profondità ogni personaggio che porta in scena.
Accanto a lui spicca Sarah Blanch una Ophélie straordinaria,  sapiente nel commuovere nella celebre aria della follia sostenuta da un fraseggio elegante e una linea vocale cristallina che si intrinseca abilmente in una recita dove nulla è lasciato al caso, ma ben cesellata in ogni aspetto. Fortemente empatica, il soprano spagnolo snocciola una recita dove il pubblico  riconosce tutte le sue doti, durante e alla fine, con applausi emozionanti e convinti.

A brillare sul palco anche Clémentine Margaine, mezzosoprano, nel ruolo di Gertrude, regina tormentata e madre dilaniata tra amore materno e doveri di corte. La Margaine ha saputo coniugare potenza vocale e raffinatezza interpretativa, regalando al personaggio una profondità scenica di rara efficacia.
Un plauso speciale merita Riccardo Zanellato, basso, nel ruolo di Claudius, Re di Danimarca. Voce autorevole, fraseggio incisivo e presenza scenica imponente: Zanellato, come sempre, ha saputo restituire tutte le sfumature di un personaggio ambiguo e tormentato, capace di suscitare inquietudine e, al tempo stesso, una sottile umanità.

Completano il ben nutrito cast i bravi Julien Henric ( Laërte), Alastair Miles (lo spettro del re defunto) che, purtroppo affetto da un’indisposizione, ha tuttavia saputo dare valore al suo ruolo, Alexander Marev (Marcellus), Tomislav Lavoie (Horatio), Nicolò Donini (Polonius), Janusz Nosek (primo becchino) e Maciej Kwasnikowski (secondo becchino)

Firma le scene Gary McCann, i costumi Giada Masi, coreografia Ron Howell, luci Fiammaetta Baldisserri che insieme hanno contribuito a costruire un’atmosfera sospesa, tra sogno e incubo, mentre il Coro del Regio, preparato dal M° Ulisse Trabacchin, ha confermato ancora una volta la propria eccellenza.

Recensione della recita del 15/05/2025