(Alessandra Giorda) In occasione dell’ultima recita di Andrea Chénier di Umberto Giordano al Teatro Regio di Torino, il 29 giugno prossimo, l’intervista al M° Andrea Battistoni. A lui “le chiavi” della chiusura della Stagione 2024/2025 e l’apertura, il 10 ottobre prossimo, per l’inaugurazione della Stagione 2025/2026  con il capolavoro di  Riccardo Zandonai tra amore, destino e sangue. Un’opera poco rappresentata, ma avvincente e di grande impatto. Qual è il titolo dell’opera? Cosa ci racconta il Direttore Musicale del Teatro Regio di Andrea Chénier? Scoprite il tutto  e molto altro nell’intervista a seguire.

 

 

Foto Gorzegno

 

Andrea Chénier è l’ultima opera in cartellone della fortunata Stagione 2024/2025 al Teatro Regio e la prima che dirige dopo la nomina di Direttore Musicale del teatro lirico torinese. Quali emozioni prova?

La responsabilità si fa sentire, la voglia di servire al meglio questo teatro si può ben immaginare. Ma in ultima analisi vince su tutto il piacere di condividere il lavoro con le persone che rendono il Regio così straordinario: maestri collaboratori e professori d’orchestra, artisti del coro e tutte le maestranze.

Una tensione creativa che mi è di grande stimolo per cercare di restituire loro ogni giorno il meglio che ho da offrire.

 

Andrea Chénier è un’opera di straordinaria forza emotiva e drammaturgica. Quali sono le principali sfide nel dirigere questo titolo e come ha affrontato il lavoro con l’Orchestra del Teatro Regio?

Si tratta di una partitura da non sottovalutare. L’immediatezza e l’apparente istintività dell’ispirazione di Giordano nascondono una scrittura orchestrale sofisticata e tecnicamente impegnativa, con molti colori da cercare di rispettare ed eccessi fonici da contenere, specialmente in una buca generosa come quella del Regio. Mantenere la concentrazione su questi dettagli per tante recite è una sfida, ce la mettiamo tutta.

Come si concilia, nella sua visione, la tensione storica della vicenda rivoluzionaria con la componente fortemente lirica e passionale della partitura? In che modo questa dualità si riflette nella sua direzione?

È la chiave di volta dell’opera: Cheniér è l’araldo dei valori dell’individualità, della poesia e dell’amore che si oppongono al cieco furore della massa incosciente e asservita al pensiero dominante. Curioso notare come il Coro in quest’opera sia connotato esclusivamente in maniera negativa. Perfino il sanguinario Coro della Turandot di Puccini conosce delle forme di pietà e tenerezza. Il Coro di Chénier è solamente un gregge che ha perso ogni umanità e reagisce come un’unica belva feroce. Non c’è miglior simbolo per affermare il valore dell’arte, del sacrificio e dell’ispirazione che si oppone al conformismo.

Ho cercato quindi di rendere con violenza tesissima gli episodi corali rivoluzionari, contrapposti alle oasi liriche colme di autentico sentimento e delicatezza riservate ai solisti.

In questi anni ha diretto repertori molto diversi, dal sinfonico al melodramma. C’è qualcosa di specifico che Andrea Chénier le ha insegnato o lasciato come direttore?

In Chénier, musica e parola, orchestra e palcoscenico devono viaggiare più che mai sullo stesso binario per la resa ottimale dello spettacolo.  Il cosiddetto Verismo operistico si basa su questo storytelling, questa serrata compresenza di ragioni teatrali e musicali. Una lezione che il cinema farà propria: quando il ritmo del testo, della partitura e dell’azione scenica si allineano, il dramma si fa avvincente e fulmineo, conquistando il pubblico.

Il rapporto tra direttore e cantanti è cruciale in un’opera di questo tipo, dove i tempi e le dinamiche devono essere estremamente calibrati. Come ha impostato il lavoro con il cast in questo allestimento?

Cercando di mettermi in ascolto delle esigenze di ciascun artista, soprattutto nel pieno svolgimento delle recite, durante le quali il mio sostegno non può mancare.

Questi titoli della Giovane Scuola hanno successo quanto più i solisti, come veri e propri mattatori, brillano da veri divi, riuscendo a donare tutta la loro arte al pubblico con generosità priva di preoccupazioni. Il loro successo diventa così il mio successo.

 

Infine, se dovesse descrivere in poche parole l’anima di Andrea Chénier, cosa direbbe al pubblico che verrà a vederlo al Regio?

È un’opera visceralmente romantica, in cui libretto e musica si sposano con unità di intenti mirabile. Il tema della libertà del singolo rivendicata contro la cieca obbedienza al conformismo è tuttora attuale e ha moltissimo da insegnarci.

A Lei le “chiavi” per chiudere ed aprire le Stagioni d’Opera. Mentre una termina tra una manciata di giorni, tra qualche mese una nuova prende il via e Lei inaugurerà la Stagione 2025/20206 del Teatro Regio con l’opera Francesca da Rimini. Un commento per l’opera di Zandonai?

È un grande capolavoro che amo molto, purtroppo oggi un po’ dimenticato, di grande impegno per il nutrito cast di grandi artisti che richiede. È un titolo ideale per un’inaugurazione di stagione pirotecnica e sorprendente.

Sarà la chance, per gli appassionati d’opera, di farne esperienza dal vivo, occasione di questi tempi rara e inusuale; per chi ancora non la conosce, sono certo rappresenterà una inattesa scoperta. Zandonai, famosissimo in vita, deve ritrovare il posto che merita accanto ai più grandi compositori del melodramma.

Ci impegneremo molto per rendere giustizia alle bellezze e alle preziosità racchiuse in questa partitura: lo dobbiamo alla storia del Teatro Regio di Torino, che tenne a battesimo quest’opera nel 1914.